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venerdì 24 gennaio 2014


26/08/12 - 24/01/14

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giovedì 16 gennaio 2014

Disfiguring The Goddess - Deprive






Year: 2013
Genre: Slam/Butal Death Metal/Technical Deathcore
Label: Decomp Records
Sounds Like: Abominable Putridity, Burning the Masses
Sentence: Deprive is better than cure (8)

Oramai anche il brutal death metal si sta fondendo con i suoni "plasticosi" e triggerati; questo per molti è un punto negativo, e infatti alcune band stanno realmente perdendo personalità ed impatto, affidandosi totalmente ad un missaggio pompatissimo. Si sa che il fattore dell'elettronica, ha fatto fin da gli albori distinguere i Disfiguring the Goddess rispetto ad altre band del genere; ed infatti anche in questo Deprive sarà presente, ma in maniera meno evidente rispetto agli altri lavori. Il fatto che potrebbe spaventarci però, è che un disco targato slam/brutal death suoni a tratti come un disco technical deathcore; questa cosa da un lato allontanerà i fan dei primi lavori, ma dall'altro farà avvicinare i DTG all'ascoltatore moderno. Argon cerca per tutta la durata del disco di far prevalere le urla al growl gutturale, riuscendoci a tratti. Dopo il primo ascolto ho escluso subito che sia un disco slam, perché alla fine ha un'avversione per l'ideale stereotipato di power chords eseguiti col palm-muting. Deprive è strutturato come una sorta di riff alla Suffocation odierni, anziché come una formazione di breakdowns consecutivi. L'album prende un impatto furioso e si fonde con il songwriting coerente di "Circle of Nine", per una serie più equilibrata di scanalature e tremolo picking. Parlando delle tracce, alcune di esse si tengono in piedi da sole, ovvero mi riferisco a "Industrial Quarter" e "Old Man", al contrario di "The Pathway to Everlasting Nothingness", "Deaths Head Mask", la successiva "Home of the Dollmaker" e la title track "Deprive". Quest'ultima una traccia molto breve (neanche 2 minuti) con alternanza efficace di 2 riff che la fanno da padrona. La successiva "Industrial Quarter", come già detto, si potrebbe reggere da sola al di fuori del disco e secondo me, merita un capitolo a parte; riff iniziale molto catchy e poi finale che ti lascia punti interrogativi. Finalmente un pezzo che spicca sugli altri, NON puoi farlo finire in maniera così anonima per Dio! Molti lo hanno criticato per la sua durata (20 minuti circa), e mi esprimo dicendo, che preferisco un album di questo genere non durare mai troppo, dato che potrebbe stufare facilmente. 20 minuti son più accettabili. Se aspettavate la fusione tra "Sleeper" e "Circle of Nine", questa è arrivata e si chiama "Deprive".

-Marco







domenica 29 dicembre 2013

Amon Amarth - Deceiver Of The Gods






Year: 2013
Genre: Melodic Death Metal
Label: Metal Blade Records
Sounds Like: Amon Amarth
Sentence: Odin would be proud! (7,5)

"Asgård's always been my home
But I'm of different blood
I will overthrow the throne Deceiver!
Deceiver of the gods!"

Queste le parole che urlano i figli di Odino nella title track del loro nuovo e devastante album: Deceiver of The Gods. Sono passati solamente 2 anni da Surtur Rising, eppure i nostri vichinghi svedesi sono tornati con la stessa carica e con un altro ottimo disco.

Le tracce di questo nuovo lavoro sono in puro stile Amon Amarth: riff massicci e corposi, melodie mozzafiato e il ruggito di Johan Hegg che è proprio come il buon vino, invecchiando migliora! Gli assoli, invece, come al solito, sono pochi, ma ben studiati e di grande impatto. Per il resto non ci sono grandi novità per quanto riguarda il songwriting, la formula è sempre la stessa a cui ci hanno abituato i nostri vichinghi da quasi 20 anni e, nonostante il tempo, continua ad emozionare e a colpire l'ascoltatore.

Per quanto riguarda le singole canzoni, sono tutte belle e degne di nota, ma le migliori sono sicuramente: "As Loke Falls", la cui intro è a dir poco da "rasponi a du mani" ( come direbbe il buon Dario Moccia ), una canzone veramente possente ed emozionante allo stesso tempo, con melodie che colpiscono direttamente al cuore come solo gli Amon Amarth sanno fare; la successiva "Father of the Wolf", con un intro vagamente roccheggiante e con dei riff altrettanto emozionanti e cazzuti allo stesso tempo. Ora però io mi trovo in difficoltà ragazzuoli ... e vi starete chiedendo: "e come mai?" Beh, da questa canzone in poi le altre mi sono piaciute praticamente TUTTE, sono una meglio dell'altra, tracks come "Shape Shifter", "Blood Eagle", "Under Siege", "We Shall Destroy" ( una delle più belle, anche da suonare ) ... L'unica che mi ha fatto storcere il naso è stata "Hel", ovvero la traccia  dove fa la sua comparsa Messiah Marcolin, il vecchio cantante dei Candlemass. Ora chiariamoci, non è la canzone in sé a non essermi piaciuta ( anche perché il guitar work è praticamente perfetto anche qua ), ma la combinazione fra la voce di Hegg e quella di Marcolin, infatti, secondo me, doveva essere studiata meglio. A parte questo, anche le ultime canzoni, "Coming of the Tide" e "Warriors of the North", sono a dir poco ottime, esattamente come le precedenti.

Quindi, questo album non mi ha deluso per nulla, anzi! E' veramente un ottimo disco, che, tuttavia, ha un difetto per il quale non posso dargli 8 ... Credo che lo sappiate tutti, il problema di questo album ( come per tutti gli altri degli Amon Amarth ) è la mancanza di originalità, appunto perché le canzoni, benché siano stupende, hanno una struttura praticamente uguale, con dei riff e delle melodie che sembrano già sentite. Ma alla fine, tralasciando questo difetto, il disco è bellissimo e molto piacevole da ascoltare, lo consiglio caldamente a tutti  coloro che hanno un animo vichingo e che, ovviamente, sono fan di questo gruppo.

-Alessio






lunedì 23 dicembre 2013

Unhuman – Unhuman






Year: 2013
Genre: Technical Death Metal
Label: indipendent
Sounds Like: Cryptopsy
Sentence: Douces Pensèes (9,0)

Ammettiamolo: ognuno di noi che ha almeno ascoltato una volta nella vita i Cryptopsy non può non essere rimasto sconvolto dal livello di violenza e di cattiveria che permea quasi ogni tassello della discografia del quintetto canadese (in particolare quelli con Lord Worm al microfono). Un tipo di brutalità che capita raramente e che risulta difficilissima da realizzare facendo comunque in modo di risultare credibili e senza fare in modo che snaturi il sound di un gruppo rendendolo inascoltabile e pretenzioso di stupire. Ma tornando ai Cryptopsy, tra i loro progetti collegati (Neuraxis, Mythosis, Rage Nucléaire,  Nader Sadek,...) ce n'era uno in particolare che mi incuriosiva da qualche tempo: gli Unhuman. Questa band, guidata dall'attuale secondo chitarrista (solo in sede live) dei Cryptopsy, Youri Raymond, è attiva fin dal lontano 1995 ma nella sua carriera ha rilasciato solamente due demo, “Too Drunk for Nothing” (1999) e “Individual Timeless Reality” (2001) prima di far perdere le tracce col passare del tempo.... Almeno fino a quest'anno, quando lo stesso Raymond dichiarò di essere entrato in sala registrazione per realizzare il  debutto ufficiale, l'omonimo “Unhuman”, rilasciato il 27 ottobre in forma indipendente e mixato da Christian Donaldson (attuale chitarrista fisso dei Cryptopsy; coincidenze?). Mentre attendevo un qualche possibile download per l'album continuava a domandarmi se la mia attesa e la mia curiosità fossero stati ripagati con un bel album in grado di stupirmi e di ritenermi davvero soddisfatto. Vi posso assicurare che “Unhuman” ha fatto questo ed altro, a tal punto che lo considero il disco Technical Death Metal dell'anno (facendomi togliere dal piedistallo l'ottimo “Portals to Caanan” dei Deeds of Flesh) ed in grado di stupirmi in questo affollato 2013 che vede una marea di buoni album che però risultato quasi scontati se non uguali tra loro. Nella line-up della band, oltre a Raymond nel duplice ruolo di chitarrista/ cantante, troviamo nientemeno che Kevin Chartré alla seconda chitarra (attivo anche con Beyond Creation e Brought by Pain), il che fa già intuire come sarà il sound degli Unhuman.  Ok, se qualcuno qui pensa “E vabbè, allora saranno la copia sputata dei Beyond!” sta sbagliando malissimo: basta solo ascoltare l'iniziale “Chaotic Equilibrium” per capire come il quartetto sia personale nel sound al 100% senza copiare nessuno. La traccia è velocissima, soffocante, pieni di cambi di tempi ai limiti della follia e con una quantità colossale di riff e fraseggi da far venire la pelle d'oca. La ritmica (su cui opera la batteria di Alex Dupras e il basso a 7 corde di Matt Bérubé) è affilata e potentissima, ma quello che lascia davvero allibiti è la performance vocale di Raymond, che oltre ad un growl/scream d'impatto (quest'ultimo che più di una volta supera una decina di secondi) infarcisce il cantato con una serie di grugniti gutturali, acuti e inhale (senza toccare territori Slam Death o simili) che lo rendono macabro e malato, senza comunque intaccare più di tanto la scorrevolezza dell'ascolto. Probabilmente avrà preso lezioni di canto da Lord Worm, ma non ne sono sicuro....oltre alla già citata “Chaotic Equilibrium”, gli altri pezzi assolutamente consigliati sono “Douces Péenses”, la strumentale “[in]Human Being” (probabilmente la traccia più tecnica dell'album), la più melodica “Hallucinogenic Symphonia Delirium”, i saliscendi ritmici di “Once Again” e la mistica “Individual Timelesses Reality” (recuperata dal demo precedente insieme a “Psychotic Afterlife” e ri-registrate nuovamente), anche se tutto l'album riesce a stupire in più di un'occasione. I (pochi) difetti riscontrati nell'ascolto sono un eccessivo sforzo vocale da parte di Raymond: in un paio di volte ho notato come alcuni acuti e screaming fossero sforzati, il che li ha resi un po' fastidiosi, senza comunque portarlo a stonare con il resto delle canzoni o cose così. Altro neo che sento di sottolineare è il fatto di come la ritmica di Dupras e Bérubé, per quanto precisa e potente, sia in certi frangenti poco fantasiosa e priva di vere e proprie parti soliste (in particolare mi aspettavo di sentire più fraseggi di basso o un paio di assoli, anche perché Matt è un bassista che non ha assolutamente nulla da invidiare ad altri come Jeff Hughell o Mike Flores). In sintesi: 48 minuti di Technical Death Metal crudo, spietato, elaborato come pochi e condito con una cattiveria inaudita, senza dubbio ereditata dai padrini Cryptopsy ma rielaborata in maniera totalmente personale stupefacente. Assolutamente imperdibile!

-Lorenzo Tagliatesta